Bicciolano e la cultura Popolare del carnevale

di Enrico Villa

Angelo Santarella, nel consiglio  direttivo del Kiwanis Club di Vercelli nell’anno sociale 2014/2015, e operatore commerciale vercellese,  l’anno scorso è stato nominato “Bicciolano d’oro 2013”. Il riconoscimento, istituito 18 anni fa dal Comitato per il Carnevale Storico Vercellese, è stato attribuito a Santarella per il suo dinamismo sociale ed economico che puntualmente si manifesta a Vercelli e a Caresanablot dove ha sede la sua impresa. Il Bicciolano d’oro prende il nome dalla maschera maschile cittadina che con la Bela Maijn, la maschera femminile, “regna” su Vercelli dalla loro incoronazione alla Quaresima, il giorno delle ceneri. La ricostruzione della storia della maschera cittadina e del carnevale ottocentesco, che raggiunse  momenti di splendore con balli memorabili nei teatri cittadini, è di due giornalisti che per tanti anni operarono a Vercelli: Walter Nasi de La Stampa e Francesco Leale, de L’Unità, de L’Amico del popolo ma soprattutto pittore, caricaturista, grande critico d’arte.
I due storici del carnevale vercellese, anche dirigenti de La Famija Varsleisa che tiene vive le tradizioni di quella che è anche stata chiamata la capitale europea del riso, hanno collocato l’origine delle manifestazioni carnevalesche nel periodo napoleonico e quando i duchi di Savoia cedettero sempre più il Piemonte alle influenze francesi e di Parigi. Il territorio, allora, aveva due articolazioni sociali: i nobili e la borghesia produttiva ma anche reputata fiscalmente esosa da una parte;, e il popolo dall’altra. Uno strato importante di popolazione viveva nel quartiere di Porta Milano, nel Seicento sviluppatasi urbanisticamente durante la dominazione spagnola. Un riferimento sociale per tutti era Carlin Belletti, avversario dei troppi privilegi e di quanti cercavano di far dimenticare, conculcandola, la dignità della popolazione. Fu allora che prese piede un detto popolare di critica ai più abbienti: loro vanno in carrozza e noi andiamo a piedi. Il potere di allora per tacitare lo scomodo Carlin Belletti  che faceva discorsi anche fortemente caricaturali e molto satirici, ne ordinò la sua carcerazione nella fortezza di Ivrea, reclusione che perdurò per un mese. E’ in quel periodo, anche secondo la Trecccani, che il personaggio politico del Bicciolano diede origine ai biscotti bicciolani, classicamente vercellesi ma nella ricetta che prevede spezie, con venature che venivano da lontano: forse spagnole ,o addirittura arabe mutuate dalla dominazione araba su buona parte della penisola iberica.
Nell’Ottocento, durante la restaurazione e agli albori del periodo risorgimentale, altri personaggi successori di Carlin Belletti con l’ironia, talvolta con  polemica aperta, si opposero al potere di turno o sublimarono, dopo i moti del 1821, lo spirito risorgimentale che, dopo la metà del secolo, avrebbe portato al 1861 e all’Unità d’Italia. In questa storia delle origini del Carnevale Storico di Vercelli sono le radici delle manifestazioni carnevalesche nel nostro Paese ma anche in diverse località e paesi europei.
Infatti, i carnevali sono una manifestazione assai importante della cultura popolare, dal Rinascimento e nei secoli successivi proiettata sul vivere di ogni giorno. Negli afflati religiosi e nella ricerca quotidiana del bene e del male. Nella tendenza a trasformare l’azione in teatralità, o in spettacolo a disposizione del potere per tacitare il popolo. Nella fantasia portata in cucina e nella gastronomia con piatti che vengono dall’esercizio, talvolta ogni giorno complesso, di nutrirsi e di esorcizzare la fame nei periodi di miseria e di carestia.
Non solo. Anche la letteratura e il costume sono, in parte, derivazioni delle prime manifestazioni carnevalesche del popolo per sottrarsi, almeno una volta all’anno, alle rigide regole della convivenza o dei precetti etico-morali. Il Decamerone di Boccaccio e le riunioni in una villa della campagna toscana, inizialmente per sfuggire alla peste, possono essere un esempio. Incominciarono, in epoca medioevale, le plebi che nel rispetto una volta all’anno della regola dettata dal “carnem levare” (da cui carnevale) davanti alle cattedrali imbastirono rappresentazioni che anche ricordavano l’inferno e la dannazione dei peccatori. Poi a Firenze - suscitando le reazioni di una minoranza di benpensanti detti i piagnoni, e di Gerolamo Savonarola che sarebbe stato condannato al rogo - Lorenzo il Magnifico avviò un’epoca lunga che, forse, si sarebbe esaurita nell’Ottocento dei grandi balli nei teatri di ogni città, culminati nel ballo Excelsior in occasione delle diverse esposizioni universali a Milano e in Europa. In questo periodo di più secoli, l’evoluzione dei carnevali e di quello che culturalmente e artisticamente hanno prodotto, è stata profonda: gli spettacoli, anche tecnologicamente per le soluzioni sceniche assai rilevanti, nelle  rappresentazioni teatrali, ammannite al popolo dal Re Sole ( Luigi XIV  1638/1715) o le Feste delle Madame Reali di Savoia nella seconda parte del Seicento; l’affermazione delle maschere, vere prove d’arte che il potere veneziano ad un certo punto vietò, e la trasformazione da “masche” in “fattezze”  fatte dagli insuperabili mastri artigiani bolognesi; a Bologna, inoltre, il gioco violento dei gentiluomini che si facevano rinchiudere con un gatto arrabbiato in una gabbia esposta al pubblico con lo spettacolo che finiva quando il felino era morto o l’uomo competitore, dilaniato dai graffi e dai morti, desisteva. Un altro attore bestiale era il toro sopravvissuto in Spagna a Pamplona.
Il cambiamento, talvolta profondo, ha anche riguardato le maschere femminili, compagne fedeli e decorative del protagonista maschile del carnevale, come nel caso della Bela Maijn del Carnevale Storico Vercellese. Nelle saghe medioevali, davanti alle cattedrali italiane e europee, le protagoniste femminili erano quanto meno tollerate anche quando una volta all’anno si scatenavano alla maniera delle streghe. Poi, dopo le tesi di Lutero, nel 1545 arrivò il Concilio di Trento che perdurò fino al 1569. Per effetto della nuova morigeratezza tridentina, che riguardò tutta l’Europa cattolica, anche i personaggi teatrali femminili dovevano essere interpretati da uomini. E lo stesso sarebbe accaduto per le maschere femminili. Solo uomini per secoli, tanto che un uomo travestito da donna, con tanto di baffi celati per l’occasione, è stato interpretato fino al primo Novecento dalla Gin del Carnevale Storico di Borgosesia, compagna del Peru, la maschera maschile. La ragione c’è, ed è forse sociologica oltre che religiosa. La Valsesia dal 1545 con San Carlo Borromeo e il Sacro Monte, è stato un baluardo per almeno quattro secoli del Concilio di Trento. Per tanto tempo, è prevalsa la regola di un unico genere per le due maschere anche per il Carnevale Storico di Borgosesia che ha 127 anni di vita smagliante. E questo anche per l’ultimo giorno delle celebrazioni, chiamato del “Mercu Scurot”  intrecciato con la vita quotidiana di quel territorio: si piemontese, ma con forti legami storici con la Lombardia e con il rito cattolico ambrosiano, che fissa il periodo carnevalesco oltre le Ceneri. Infatti  l’operaio tintore di origine tedesche che inventò il “Mescu Scurot”, con un moto di ribellione “alla valsesiana” sostenne che bisognava ancora per  un po’andare oltre alla tristezza e alla Quaresima.
Ritornando alla pianura, dicevamo delle influenze  del carnevale sulla cucina e sulla gastronomia. Da sempre, non soltanto in Italia e non soltanto per quelli amati dai vari Ganduja, Balanzone, Sghanarello, Pulicinella e via elencando, i menù di carnevale sono tutti grassi. Essi, però, sono  anche il  risultato della saggezza popolare abituata a risparmiare il cibo, utilizzando quello che l’orto dietro casa mette a disposizione e tutti rimasugli per risolvere ogni giorno il problema della sottonutrizione o, peggio, della fame nera. A Vercelli, oltre che i bicciolani (dal latino buccello, boccone ) in cima alla popolarità gastronomica del territorio è la panissa, nel Novarese diventata paniscia perché più a base di verdure provenienti dagli orti rurali. In entrambi i casi, come del resto nell’arco occidentale delle Alpi, il significato originale deriverebbe da panico di cui  la popolazione contadina faceva uso per vincere la fame. A metà Ottocento, un gruppo di professionisti e borghesi di Vercelli  costituì un club a Larizzate, frazione vercellese, sul tipo del Circolo Ricreativo dove ora hanno sede il Kiwanis Club di Vercelli e gli altri services cittadini. Non soltanto a carnevale, i soci di quel club ottocentesco affinarono la panissa a base di riso, lardo e altri salumi  facendola diventare la “panissa di Larizzate”, piatto nobile, come del resto i bicciolani di ogni Carnevale Storico di Vercelli. La ricetta originale, rintracciata negli anni Settanta del Novecento nello studio di un autorevole avvocato vercellese, è stata pubblicata su Risoidea, cento ricette dall’antipasto al dolce, edito qualche anno fa in centinaia di migliaia di copie dall’Ente Nazionale Risi di Milano.
Alla cucina e alla gastronomia innovativa, ma avendo quale riferimento il territorio e il popolo, ha dato molto spazio anche il movimento futurista, fucina d’arte e di letteratura fra Ottocento e Novecento, che a Venezia e a Milano andò controcorrente nemico dichiarato della pasta a favore del riso, come abbiamo accennato ingrediente fondamentale  per i menù di carnevale nella Pianura Padana. Tuttavia il manifesto del futurismo pubblicato in Francia su Le Figaro il 20 febbario 1909 da Filippo Tommaso Marinetti ipotizza un mondo fantasmagorico, in parte simile a quello di Federico Fellini che, con lo spirito talvolta caustico delle origini del Carnevale, si ritrova nei carri e nei corsi mascherati di oggi: a Viareggio, come a Ivrea, Borgosesia e in tante altre località. Più o meno garbatamente il bersaglio preferito è ancora il potere come nell’Ottocento lo fu per Carlin Belletti di Porta Milano, quartiere spagnolo di Vercelli. Ma i tempi, a causa dei moderni mezzi di comunicazione e della satira proiettata in televisione, sono anche assai diversi i messaggi ogni anno proposti dal carnevale. Un rifugio può essere rappresentato dalle varie scuole di cartapesta dove, per diletto o professionalmente, con i carri originariamente  inventati in epoca rinascimentale, i moderni artigiani del carnevale producono veri capolavori, tuttavia anche non risparmiandosi nelle mangiate e nelle bevute “alla maniera antica”.