Intervista a Luigi Bavagnoli, fondatore di Teses e tanto altro

Passione. Soprattutto passione per quello che sta sotto ma che anche sopra è avvolto da un po’ di mistero o suscita molta curiosità  la quale è il “sale” di ogni vera cultura. Luigi Bavagnoli, molto noto per il casco da speleologo, che è uno dei suoi distintivi, ha un curriculum professionale da fare invidia. Nel 1996, cioè 18 anni fa, come se fosse nulla a Vercelli ha fondato l’associazione speleo-archeologica Teses chiamando intorno a sé ragazzi e ragazze specialisti in fotografia e informatica-elettronica che, quindi, non sono specialità all’antica. Poi a Bolsena si è imposto al primo Congresso Nazionale di Archeologia del Sottosuolo. Era il 2005. Da quell’anno sono venuti tutti gli altri suoi successi che hanno ripagato lui e tutti i suoi collaboratori della passione che collettivamente dimostrano. Relatore e Consigliere per quattro anni della Federazione Nazionale Cavità Artificiali. Relatore a Volterra di un altro Congresso della specialità. Ma, soprattutto, personalità televisiva sulla rete di mamma Rai e di altre reti importanti e scrittore che, una volta al mese, pubblica sul giornale La Sesia le sue scoperte, talvolta problematiche e le sue esperienze del sopra e del sotto che irresistibilmente avvincono. A Luigi Bavagnoli abbiamo rivolto quattro domande che per il sito del Kiwanis Club sono già diventate una tradizione.

Ma che cos’è il Teses, quando è nato e perché?
Teses oggi è una associazione di volontariato con lo scopo di esplorare, studiare e documentare il patrimonio sotterraneo artificiale. Accanto all’opera di divulgazione vanno l’impegno per la tutela e per la valorizzazione delle cavità dimenticate, ma di interesse storico e culturale. Nasce dalla curiosità che mi ha sempre tormentato, legata alle leggende che sentivo raccontare. Nasce dal desiderio di saperne di più e di poter verificare in prima persona ciò che veniva raccontato, dove possibile.

Il vostro gruppo, esplorando soprattutto il sottosuolo sembra privilegiare il mistero e l’indeterminato. Non vi sembra di agire nel campo dell’irrazionale come facevano i romantici e i neogotici di metà Ottocento?

Il mistero e la leggenda sono spunto e pretesto per parlare di storia e di archeologia. Difficilmente è possibile intrattenere studenti e pubblico televisivo con pesanti approfondimenti dal taglio accademico. Lo conferma anche il rapporto tra le vendite delle pubblicazioni scientifiche realizzate per il British Archeological Report di Oxford, rispetto ad articoli  su giornali e mensili molto più convincenti e divulgativi. Di necessità virtù. Oltre al fatto che l’ignoto ed il mistero sono calamite per la curiosità di tutti noi.

Come più di un tempo sostiene l’archeologia moderna, essa ha valore se attualizza con i metodi della informatica grafica i tempi in cui sono effettivamente collocati i ritrovamenti. Questo dovrebbe valere anche a Vercelli per l’anfiteatro, l’area di San Bartolomeo, il sottosuolo medioevale di piazza Cavour e tutto quello che di valido è disseminato in risaia. Perché gli amanti della archeologia sotterranea o di superficie si fermano  soltanto ai resti freddi sopravvissuti al tempo?

Contestualizzare l’antico anche in termini filologici e cronologici è sicuramente un modo corretto per comprenderlo a fondo. Spesso però non è possibile per due ragioni: la scarsità di informazioni corrette ed attendibili, indispensabili alla ricostruzione puntuale; l’assenza di fondi e di tempo per completare in modo così accurato i lavori. Per ciò che  riguarda la mia associazione, seppur con miseri mezzi autofinanziati, cerchiamo di fare sempre qualche sforzo in più, anche in questa direzione. L’auspicio è di fornire spunti e idee agli enti e alle istituzioni preposte, che sicuramente hanno maggiori risorse di quante ne disponga io.

La Basilica di Sant’Andrea che con la firma di tanta gente dovrebbe portare al suo restauro, poggia su un sottosuolo senza caratteristiche o, invece, su un lago sotterraneo di cui, da secoli, parla la tradizione popolare?

Il sottosuolo presente sotto l’abbazia di S.Andrea ha delle caratteristiche ben note. Limi, fanghi ed argille, terreni sciolti, insomma. Il mito del lago sotterraneo, di cui a lungo ho scritto e parlato, va ricondotto alla più concreta realtà di una cisterna artificiale per la raccolta dell’acqua meteorica, piuttosto che a un laghetto venutosi a creare durante la sua stessa fabbricazione, alimentato dalle acque del Cervetto che, all’epoca, lambivano la basilica.