Quattro domande allo psicologo Stefano Ramella Benna

(En.Vi) Stefano Ramella Benna, biellese che, diversamente dagli abitanti della sua città dove per tanto tempo ha dominato l’industria e il tessile, ha scelto una disciplina difficile per quanti puntano al concreto e all’apparente razionalità: la psicologia con ampi risvolti sociali e la psicoterapia. Più di un tempo, non soltanto nelle fabbriche dove i ritmi sono ancora fordisti, le maestranze e i manager ne hanno bisogno. Per rendersene conto, bisognerebbe ricordare i films di Charlot o le crisi finanziarie “nere” del 1929, o quella più vicina a noi degli ultimi anni. Nessun punto di riferimento per fronteggiare le crisi, tanta disperazione e una grande incognita che perseguita, molto al di là della attuale conclusione!
Stefano Ranella Benna, psicologo delle ultime generazioni essendo un cinquantenne abituato a penetrare nel buco nero della nostra violentata coscienza dei tempi moderni, nel centro studi della sua città ha presentata il suo ultimo libro: Per voce maschile. Rachelina Orsani, presidente del Kiwanis Club di Vercelli, ha invitato il dottor Ramella Benna a parlarci del contenuto del volume e di quanto sta dietro il Sé maschile  che è impastato con il nostro essere e che sovente erroneamente determina le nostre decisioni, non sempre con la capacità di sottrarci dalle antiche “incrostazioni", una vera tormentosa malattia che necessita dello psicoterapeuta, il medico laico della nostra anima. O, meglio della nostra “anima maschile” dove, senza aiuto, le profondità individuali sono spaventosamente abissali.
Ancora oggi, non ai tempi di Sigmund Freud, il dibattito ferve infuocato. Molti escludono che la psicologia sia scienza, inducendo gli sprovveduti (sono tanti!) a votarsi alla psicosomatica, infischiandosene delle rampogne di Edoardo Boncinelli, genetista nonché biologo molecolare, e morendo come è appena accaduto in queste settimane. Oppure, con tanta arroganza, si fanno prendere la mano dai “luoghi comuni” attribuendo agli stessi quello che accade e che i mass-media colorano commercialmente a tinte fosche.
Stefano Ramella Benna nel suo libro si sofferma su il Sé e gli uomini nella relazione terapeutica. Scienza viva celata tra le pieghe della psicologia! Ma, facendo attenzione al maschile, lo psicologo terapeuta va oltre, tracciando questa “scaletta” di ricerca e riflessione: i pensieri, i sentimenti, i sogni dei maschi visti con gli occhi di uno psicologo uomo. Prima di tutto nel rapporto con il femminile, ma anche nei rapporti con l’infanzia, nella professione e nel posto di lavoro, nella politica per costruire la propria comunità. La immensa via lattea della psicologia è ardua da percorrere. Ma Stefano Ramella Benna aiuta ad iniziare il viaggio complicato, aiutando nel contempo a correggersi anche i giornalisti che talvolta dubitano che la psicologia sia vera scienza.
  • Negli ultimi anni, la riscoperta da parte dei media di Sigmund Freud, per le sue teorie a Vienna perseguitato dai nazisti e dei suoi innumerevoli allievi fondatori di scuole in Europa e negli Stati Uniti d’America, ha nuovamente attivato l’interesse per la psicologia, una prima volta incominciato fra Settecento e Ottocento. Una prova fra tutte?: la figura dello psicologo compare ormai in molteplici attività umane che necessitino di un riferimento, al di là della Religione e del confessore. Ma si è anche sviluppato un dibattito, talvolta aspro, sulla psicologia che non è scienza e che serve soltanto agli “strizzacervelli”. E’ una esasperazione dei mass media, o quali sono le ragioni per affermare che la psicologia è fondamentale nella società moderna come tante altre scienze?

Non penso che soltanto negli ultimi anni si possa parlare di un interesse mediatico per la psicologia e, particolarmente, per la psicoanalisi. La fascinazione da parte dei media è presente da sempre; basti pensare a quanto cinema, e non solo americano, sia stato attraversato da storie psicoanalitiche, proponendo figure di psichiatri e psicologi, peraltro non sempre eticamente convincenti.
Sarebbe innanzitutto necessario distinguere tra psicologia come scienza e psicoanalisi, come uno dei metodi di cura nati nell'alveo della psicologia. L'interesse e il dibattito sulla psicologia in generale sono presenti sin dalla nascita di questa scienza, e quindi ancor prima della scoperta dell'inconscio, cioè della rivoluzione freudiana e post freudiana. Questo perché la psicologia nasce e si sviluppa tesa tra due nature, una di radice umanistica, l'altra più strettamente biomedica.
Direi dunque che avere uno sguardo psicologico permette di adottare un punto di vista più integrato con il quale osservare il mondo e la vita; un punto di vista che non si limita ad una comprensione oggettiva degli eventi e dei comportamenti, ma che attribuisce peso e sostanza alla soggettività umana.
Se poi ci riferiamo specificamente al contributo della psicoanalisi, vi troviamo un ulteriore livello di approfondimento, che permette di comprendere il comportamento delle persone come determinato anche da elementi inconsci, cioè da componenti psichiche non osservabili e non note.
Inoltre, su un piano di dibattito scientifico sulle psicoterapie, cioè sulla cura attraverso la parola, l'attualità è segnata da nuove voci che vanno oltre le sottolineature entusiastiche a favore di terapie brevi, strategicamente efficaci e orientate al pensiero e al comportamento. Finalmente, disponiamo anche di ricerche ben condotte, da cui si evince che la psicoanalisi rappresenta ancora l'unico orientamento terapeutico in grado di garantire cambiamenti profondi e duraturi nella psiche dei pazienti.
  • Lei ha intitolato così sue conferenze che, forse, anche meriterebbero il titolo di un manifesto psicologico: i pensieri, i sentimenti, i sogni dei maschi visti con gli occhi di uno psicologo uomo. Mi perdoni: questo titolo sembra influenzato dal movimento femminista delle suffragette del Novecento, che sempre se la prendono con il genere maschile. Ma poi (vedi gli ultimi programmi originali di Canale Cinque e condotti da Bonolis o le ultime inchieste di Panorama sulla prostituzione, il maschio esce come uno che sogna donne di malaffare o che sbava dietro a procaci nudi femminili sapientemente presentati dal regista televisivo. Anche tenendo conto del titolo da lei scelto, quale è la realtà effettiva nella quale vive immerso il maschio, particolarmente quello italiano?
I sogni, i desideri e le "sbavature" dei maschi sono molto più complesse e interessanti di quelle che possono emergere dalle visioni stereotipate cui si fa cenno nella domanda.
Questo libro e gli incontri che ne sono derivati nascono da un mio interesse scientifico, sostenuto proprio dalla carenza di studi psicologici sul maschile, a fronte di tanta letteratura psicoanalitica, sociologica e antropologica sul femminile. Una letteratura senza dubbio legata all'evoluzione del pensiero femminista. Tale carenza mi è parsa ancor più significativa, in rapporto ad una crescente domanda di psicoterapia da parte di pazienti uomini.
Il mio obiettivo, dunque, è stato quello di riflettere sull'interiorità maschile, a partire dal mio punto di vista di terapeuta e di maschio.
Questo implica un fatto ben preciso anche sul piano del metodo scientifico. La mia è una riflessione psicologica, che quindi parte da osservazioni di casi specifici, e tenta poi di comprendere un nesso tra questi. Un'indagine sociologica, invece, parte dall'osservazione di realtà condivise e collettive, per giungere solo successivamente ad ipotizzare un'influenza sull'individuo.
Pertanto, domandarsi in quale realtà viva il maschio di oggi significa porsi una domanda più sociologica che psicologica. Posso soltanto dire, a riguardo, che il rapporto tra maschile e femminile è estremamente cambiato, e che il maschio sembra aver trovato, recentemente, una via verso la femminilizzazione, come risposta al progressivo rafforzamento del ruolo delle donne nella società e nel lavoro. Come dire che, non potendo più vantare un ruolo di superiorità, probabilmente nato nella storia dei generi come difesa contro il timore che le donne potessero minacciare il potere maschile, l'uomo ha avuto bisogno di differenziarsi, ricoprendo ruoli e modi che un tempo erano riservati proprio alle donne. Pensiamo al crescente numero di uomini che si stanno dedicando alle professioni sociali e di cura, o a quelle creative. Dunque, direi che il maschio, oggi, si ritrova a confronto con la necessità di sostenere e dimostrare una condizione di forza un tempo data per scontata e che non sempre si sente a proprio agio, in questo ambito. Forse anche per questo molti pazienti maschi portano in terapia una sorta di crisi della propria maschilità e desiderano affrontarne i risvolti profondi.
  • All’ultimo Festival di Venezia, i lavori cinematografici degni di attenzione sono passati in second’ordine ed è prevalsa la visione di due “scianguette” senza niente sotto gli abiti. I social  hanno confermato che l’operazione mediatica ha avuto successo e che una volta ancora ha “fatto sognare” il pubblico maschile che si nutre di futilità. Una prova? I social hanno ricevuto sulla circostanza 500 mila messaggi. Che significato ha la reazione scomposta del pubblico a caccia di forti “sensazioni sessuali”?
Trovo molto pericoloso aderire ad una visione stereotipata del maschio, esattamente coincidente con ciò che i media evocano, a partire da una certa stampa, fino alla scontata immagine televisiva. Questo mi pare accada non perché il maschio funzioni così, quanto perché il giornalismo ha bisogno di evocare reazioni emotivamente forti, nei suoi fruitori, a più livelli e in più direzioni. Mi pare che ciò accada non solo con il sesso e con il rapporto tra generi, ma anche con il dolore, o con tutto ciò che può far provare emozioni primariamente presenti in noi, come la paura o il disgusto.
Dopo di che, va detto che la sessualità rappresenta la parte più delicata e intensa di noi, e come tale può essere vissuta sia in termini integrati, completi, in connessione con il sentimento (nella giusta misura), o può essere scissa, dissociata dalla relazione, e fatta oggetto di trauma, sia per chi la agisce, sia per chi la subisce.
Tutti noi abbiamo bisogno di desiderare e di essere desiderati. La sessualità rappresenta, psichicamente, il nucleo generativo del desiderio, tant'è che generalmente noi veniamo al mondo grazie al dispiegarsi di un desiderio, che si traduce nell'atto sessuale tra un uomo e una donna.
Certo, la sessualità nella mente del maschio è spesso sottoposta a passaggi, meccanismi e difese assai differenti rispetto a quanto accade nella donna. Il libro, a partire da una serie di racconti di terapia, affronta queste differenze vedendole da più angolazioni.
  • Forse il segno maschile per il sesso trova una giustificazione nei femminicidii e nelle aggressioni sessuali provocate - si afferma – a causa delle minigonne e di altri abbigliamenti muliebri spinti anche rilevati dalla Magistratura. E’ la conseguenza di un sogno freudiano-incubo, oppure è la mancanza di educazione sessuale dei giovani che hanno perduto ogni freno inibitore?
Questa è veramente una domanda a cui non è possibile rispondere in modo netto, perché non ci sono mai spiegazioni univoche e monofattoriali per i fenomeni umani e psichici.
Per un atto di molestia o di invasione della sfera psicofisica di un altro essere umano non vi è mai una giustificazione. Il problema è che qui stiamo parlando di qualcosa che va ben oltre il tema dell'abuso e della violenza; stiamo parlando di trauma. E il trauma è un fenomeno psicologico che si fonda su una serie di radicati meccanismi difensivi, uno dei quali consiste nel gioco inconscio tra aggressore e vittima, facendo in modo che quest'ultima si identifichi con il primo. Ne aveva parlato per prima Anna Freud, con il suo lavoro sui meccanismi di difesa dell'Io, dando a tale dinamica interna il nome di "identificazione con l'aggressore".
Credo che tutti abbiamo bisogno di una maggiore formazione individuale e di una conoscenza più profonda di noi stessi, per poter comprendere quando, pur senza accorgercene, rischiamo di cadere in meccanismi come questo. Trasmettere a una donna il messaggio che un'aggressione da lei subita sia stata innescata da un suo comportamento significa, appunto, colludere con questo meccanismo. Ciò è tanto più grave quando avviene all'interno dei circuiti di aiuto, cura e giustizia, perché equivale ad una seconda aggressione, ad un trauma sommativo, che spesso ha il potere di rendere definitivamente intollerabile ciò che è stato precedentemente subito.