4 domande a Cinzia Lacchia

(En.Vi.) Cinzia Lacchia, conservatrice del Museo Borgogna, fondato fra l'Ottocento e i primi anni del Novecento da un avvocato colto, appassionato "del bello", è diversa dalle tante sue colleghe che accoppiano il loro sapere con la loro ostentazione, e che i mezzi di comunicazione hanno preso l'abitudine di annoverare fra i critici. Cinzia, dando un po' fallacemente l'impressione di essere una "burocrate dei musei e dell'arte da conservare", è in realtà di una grande modestia femminile sorretta dalla conoscenza e dalla cultura artistica. E con questo "taglio culturale" che avvince, ha risposto alle consuete domande all'ospite del Kiwanis Club, nelle risposte affrontando temi in genere collocati alquanto marginalmente da tanti suoi colleghi. Storia dell'arte femminile intrisa di umanità nella cornice secolare delle botteghe d'arte cinquecentesche e seicentesche. Arte che si intreccia con l'elettronica e l'informatica di cui in questo momento, è un esponente l'americano Bill Viola. La trasmigrazione, per opera delle donne, dalla fotografia alla pittura. Senza moralismi e "peli sulla lingua", il rapporto dei giovani, irriducibilmente avvinti dai telefonini, con l'arte e i musei. Di seguito, ecco l'intervista a Cinzia Lacchia da cui emerge il carattere di cui abbiamo detto: tanta semplice modestia e, dietro, tanta ricchezza culturale che viene dalla autentica storia dell'arte della quale è anche simbolo il Museo Borgogna, un riferimento preciso del "mecenatismo ottocentesco" di cui adesso si è forse persa ogni traccia. Infatti oggi essere "mecenate" significa soltanto essere finanziere con il compito "peloso" di investire e guadagnare.

Fino all'epoca medioevale l'arte pittorica, o tutta l'arte, erano impedite al genere femminile. Ma dal XVI secolo in avanti, le donne pittrici si guadagnarono con la maestria un "posto al sole": Lavinia Fontana, Sofonisba Anguissola, Barbara Longhi, Artemisia Gentileschi... Nei giorni della festa della donna e delle problematiche connesse, a ragione è richiamato il quadro "Giuditta che decapita Oloferne", anno 1616, di Artemisia Gentileschi. Lo stesso soggetto fu firmato da Caravaggio. Ma dietro al capolavoro della Gentileschi, c'è una storia di violenze subite dalla pittrice dovute ad un amico del padre che frequentava l'atelier della famiglia. La scoperta della pittura da parte delle donne è anche dovuta alla sudditanza delle donne rispetto al genere maschile, più che mai in quell'epoca animato dai tanti don Rodrigo manzoniani?

Non credo che la scoperta della pittura sia dovuta alla sudditanza delle donne rispetto al genere maschile. Il contesto e le regole della società del passato hanno sicuramente condizionato la possibilità per una donna di diventare artista. Il fatto di potersi permettere l'esercizio della pittura (sulla scultura c'erano ragioni anche fisiche) rappresentava un moto di espressione delle capacità artistiche, spesso invidiate da alcuni artisti uomini, ma anche un assoluto segno di libertà e di indipendenza. Gli ambiti espressivi erano condizionati da moralismi ed abitudini sociali dove la sudditanza da un lato derivava in primo luogo dall'ambiente famigliare: spesso alcune donne artiste nascevano e sviluppavano il loro talento grazie alla "protezione" o al permesso dei padri artisti (vedi Sirani, Artemisia, Kauffmann, di alcune di loro parlerò). In altri casi l'ambiente del monastero, come il caso della piemontese Orsola Maddalena Caccia, favorivano e amplificavano il loro potere tanto da diventare imprenditrici di loro stesse e del loro convento.

Alcuni critici sostengono che, proprio con le donne, la storia dell'arte subì una svolta e che la pittura non fu più come prima. Tra le pittrici, incominciando proprio dal XVI secolo, si elencano una ventina di artiste, fra le quali la Anguissola che firmo il primo e bel nudo femminile sempre osteggiato nel Medioevo, o comunque retaggio solamente degli uomini. Ma è stato proprio così, e la storia dell'arte è appunto stata caratterizzata da una vera svolta epocale?
Non lo credo, ma è un parere puramente personale. Quali sono questi critici ? Le pittrici, magari con sicuramente maggiori difficoltà, si sono faticosamente fatte strada per poter esercitare la propria "professione" artistica, talvolta considerata solo come mero diletto tra le attività consentite al genere femminile e comunque un diletto da "intellettuali" e nelle gerarchie sociali più alte. Il disegno del nudo era osteggiato per ragioni di pudore e soprattutto limitato anche nelle esercitazioni in accademia da parte delle allieve, poiché ritenuto non consono alle signore. La svolta ha avuto diversi aspetti da tenere in conto: la possibilità di entrare a studiare a pari grado nelle Accademie, di poter essere riconosciute artiste e non solo dilettanti e non solo quella di poter dipingere nudi o soggetti aulici quali i quadri di storia. Sono molte di più le artiste che oggi negli studi dei documenti e delle opere stanno emergendo e che possono ritenersi qualitativamente brave e degne di memoria per la qualità delle loro opere, indipendentemente dal confronto - assurdo - con altri artisti uomini. I parametri della qualità, originalità, tematica, innovazione, sensibilità, ecc. condizionano oggi il loro valore più che non la valutazione sul genere. La svolta è stata nel riconoscerne il valore tanto da essere degne di essere oggetto di interesse da parte del mercato dell'arte, del collezionismo ...maschile, aristocratico, conventuale, accademico, museale... a seconda delle epoche e degli spazi sociali dell'arte. E' pur vero che il femminismo e alcuni momenti della critica d'arte hanno particolarmente abbracciato anche in anni recenti la necessità di ribadire e scrivere una storia dell'arte "al femminile".

Dal 10 marzo scorso-prossimo, Palazzo Strozzi di Firenze ospita la mostra dell'americano Bill Viola che si definisce video artista, cioè che riesce ad accoppiare i pennelli e la tavolozza con l'informatica e l'elettronica. Il nuovo stile, o meglio il nuovo corso artistico, dovrebbe puntare alla essenzialità, prendendo a paragone la complessità pittorica di Pontorno. Ma è proprio così, e veramente l'arte come intesa dai più può coesistere con l'elettronica che, in genere, trucca la realtà facendola diventare una cosa diversa difficilmente percepibile?
Conosco abbastanza bene la produzione di Bill Viola, ho visitato sue mostre e letto alcune recensioni critiche. E' molto più di un fenomeno di moda, di un accoppiamento di pennelli con informatica ed elettronica. C'è una grande, raffinata e costosissima produzione di video-arte che si basa su uno studio attento all'arte del passato, immergendo letteralmente il fruitore dentro le sue cristalline immagini che scorrono in questi video lenti e studiatissimi, portando alla luce e declinando i grandi tematismi dell'umanità nel contemporaneo e nell'assoluto. La video arte ha raggiunto con le sue sperimentazioni e le sue ricerche di perfezionismo tecnologico un risultato altissimo a livello di qualità, anticipando o in parallelo agli sviluppi della digitalizzazione delle immagini sul grande schermo. Su Pontormo poi c'è un lavoro puntuale sulla gestualità, sui toni cromatici, sulla composizione d'insieme che non solo può essere paragonato alla complessità pittorica di Pontormo ma per alcuni aspetti la supera. La sua sigla artistica sta nel sollecitare le emozioni e le reazioni degli spettatori con dei meccanismi che fondono le arti visive tutte, il sistema barocco della rappresentazione illusionistica, con la contemporaneità dei mezzi e degli strumenti, oltre che dei messaggi. Il fatto che finalmente anche l'arte contemporanea si confronti in una sfida alla perfezione dell'immagine e dei contenuti e del messaggio la grande arte antica dentro un museo può solo amplificare i significati dell'arte e, come nell'800 succedeva con la fotografia che gareggiava con la pittura, portare a nuovi e forse ancora inconsapevoli traguardi.

Lei dottoressa vive la sua giornata di lavoro in un mondo che non esiste più, messo assieme con pazienza e grandi sacrifici dai mecenati ottocenteschi i quali hanno anche costruito le basi museali e delle pinacoteche a disposizione dei giovani d'oggi i quali, al massimo, individuano un grande pittore attraverso lo smarphone. Tre domane in una: ma negli anni Duemila i mecenati come quelli ottocenteschi possono ancora sopravvivere? E ancora: musei e pinacoteche possono ancora esistere a disposizione della cultura e dei giovani? Infine: fra le ultime pittrici richiamate, come nel XIX secolo accadde a Parigi con Nadar e altri, hanno imboccato la strada della fotografia d'arte, specie le americane passando poi alla pittura. E' stata comunque vera arte, o è una mistificazione che in avvenire non avrà più seguito?

Questa è la domanda che mi tocca di più. E' il senso del mio intervento presso il vostro club dove devo rappresentare il ruolo delle donne nella conservazione del patrimonio artistico. Solo se sappiamo capire e riconoscere e coltivare il mecenatismo del passato può avere senso e rendere ancora vitali i nostri musei nel futuro. E la trasmissione di questi saperi ed esperienze ai giovani, ma non solo (anche a molti adulti che oggi hanno perso queste radici culturali e di civiltà), è un nostro dovere professionale e civico. Sono poco propensa alle mistificazioni, certo è che la grande libertà raggiunta nel mondo dell'arte indipendentemente dalla classificazione dei generi (donne, uomini, enfant prodige, .... professionisti o dilettanti... attori/scrittori che si scoprono artisti...ecc.) permette oggi di essere quasi disorientati dal mondo dell'arte e soprattutto del mercato che spesso condiziona, quello sì, certe forme di successi forzati e particolarmente fruttuosi economicamente redditizi. Ma la storia dell'arte è fatta, anche in passato, di questo condizionamento ineludibile. E' la base sulla quale trovare e nutrire nuovi filantropi e mecenati dell'arte... magari educando un poco di più anche certi collezionisti verso il ruolo di benefattori e non solo di buoni investitori in arte considerata solo come merce.